giovedì, marzo 22, 2012


Giornata dell’Acqua, “il pianeta ha sete perché il mondo ha fame”

Si torna a parlare di acqua. A quasi un anno dal referendum in cui gli italiani hanno detto no alla privatizzazione dell’acqua, il tema è di nuovo al centro della discussione.
Oggi si festeggia la Giornata Mondiale dell’Acqua (World Water Day), istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 per invitare i paesi ad organizzare attività di sensibilizzazione e promozione attorno a questa importantissima risorsa naturale.
Secondo le statistiche, infatti, noi consumiamo da 2 a 4 litri di acqua al giorno e la maggior parte dell’acqua che “beviamo” è contenuta negli alimenti che mangiamo: per produrre un chilo di carne si consumano 15.000 litri d’acqua e per produrre un chilo di cereali se ne consumano 1.500. Dall’altro lato ci sono, nel mondo, già oggi un miliardo di persone che soffrono la fame e questa percentuale è destinata a crescere con la crescita demografica.
Dunque per garantire a tutti l’accesso ad un’alimentazione di base è necessario mettere in campo, con urgenza, alcune azioni: iniziare a consumare prodotti meno trattati, che richiedono una quantità minore di acqua; ridurre lo spreco alimentare visto che ancora oggi il 30% dei prodotti alimentari non viene mai consumato e adottare tutti un regime alimentare più sano. Dal produttore al consumatore, tutti gli attori della catena possono fare qualcosa per ridurre il consumo di acqua, a beneficio della sicurezza alimentare mondiale.
“La situazione dell’acqua in Italia è un paradosso continuo – afferma Mauro D’Ascenzi, vicepresidente di Federutility – Abbiamo le tariffe più basse del mondo, gli investimenti bloccati, non ci sono soldi per intervenire sugli acquedotti, siamo in ritardo e prenderemo delle multe dall’Unione Europea per la depurazione, eppure, nonostante tutto questo, la qualità dell’acqua in Italia è eccellente e lo dimostrano i cittadini, che stanno mutando negli anni le proprie abitudini di consumo”.
“La soddisfazione di avere un’acqua di buona qualità – continua D’Ascenzi – non deve farci dimenticare le cose che recentemente ha sottolineato anche Legambiente: ne sprechiamo troppa, non la depuriamo, minacciamo ogni giorno l’ambiente ed il turismo e pagheremo multe salate se non interveniamo presto sulla depurazione. Per sistemare il sistema idrico italiano servono 66 miliardi nei prossimi trent’anni e soprattutto serve l’immediato avvio dell’Autorità di regolazione, autonoma ed indipendente. L’acqua deve essere una priorità nazionale. A parole tutti ne dichiarano il valore, ma nella realtà la trattiamo come se non ne avesse”.

Il presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori Giuseppe Politi lancia un appello alla politica: è sempre più urgente una nuova politica globale dell’utilizzo sostenibile delle risorse idriche. “La mancanza d’acqua uccide di più di una guerra. Ancora oggi il bollettino è allarmante – denuncia Politi – nel mondo oltre un miliardo di persone ha sete, mentre in più di 2,4 miliardi non possono contare sulla disponibilità di una risorsa sicura e incontaminata, e di questi ben 8 milioni muoiono a causa di malattie legate all’oro blu. Tra queste, 8 su 10 vivono in aree rurali. Ma il peggio è che l’incremento demografico e la crescente urbanizzazione faranno lievitare la domanda di questo bene prezioso, non solo per il consumo diretto, ma soprattutto per la produzione di cibo, che dovrà aumentare tra il 70 e il 100% entro il 2050, quando ad abitare il pianeta saremo in 9 miliardi”.
“La questione non interessa soltanto i territori dell’Africa: il fenomeno della desertificazione, legato ai cambiamenti climatici, ci riguarda da vicino -spiega il presidente della Cia – e mette a rischio la produzione alimentare, proprio perché alla mancanza d’acqua è legata la qualità del suolo e, quindi, la sua capacità produttiva. Basti pensare che le zone dell’Europa soggette a stress idrico sono destinate a passare dal 19% odierno al 35% nel decennio 2070. In Italia ben il 21% del territorio è attualmente a rischio di desertificazione. E si arriva al 41%, se si considerano solo le regioni centro meridionali. Fenomeno che negli ultimi 40 anni ha determinato un calo del 30% della capacità di ritenzione e di regimazione delle acque, compromettendo le coltivazioni e accrescendo di tanto le situazioni di rischio idrogeologico”. “In questo senso – sostiene il presidente della Cia – è fondamentale lavorare a uno sviluppo agricolo ecosostenibile, che sia in grado di garantire l’approvvigionamento alimentare, senza contribuire allo sfruttamento delle risorse”. L’appello è allo sviluppo di un’agricoltura che punti alla tutela del territorio come leva dello sviluppo e della competitività aziendale.

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